Il sabato del ballottaggio

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Una riflessione su ciascuno dei candidati, un po’ analisi, un po’ previsione, un po’ auspicio, in questa vigilia di primarie che sono una grande prova di democrazia del partito, un meraviglioso esempio di partecipazione, un evento di cui andare orgogliosi e tutto quanto, ma che fra fandom impazzite, piccinerie e cori da stadio hanno anche un pochino rotto i coglioni e non vediamo l’ora che finiscano.

1) Matteo Renzi

Va bene, chi passa di qui lo sa, io spero che Renzi vinca, e che vinca bene – sopra il 60%, diciamo. Un risultato del genere, infatti, confermerebbe il valore aggiunto del sindaco, e lo aiuterebbe a tenere ben saldo in mano il manico del coltello, nei rapporti con la folla di ex-apparato del partito che è saltato sul suo carro (non invitata, è sempre bene ricordarlo). Renzi buon vincitore è insomma una delle due condizioni essenziali per provare una buona volta ad avviare una sistematica del rinnovamento nel PD; perché si apra lo spazio necessario, però, bisogna che se ne realizzi un’altra, di condizione.

2) Pippo Civati

E cioè, Civati deve arrivare secondo.

La corsa per la medaglia d’argento sarà forse quella più appassionante: sia perché è la più incerta, sia perché è assai gravida di conseguenze.

Incerta perché, come ben sanno la squadra di Civati e quella di Cuperlo, le indicazioni fornite dai risultati dei circoli sono, per loro, assai poco indicative: Cuperlo oltre a quanto raccolto fra gli iscritti non può granché andare, Civati invece fra gli elettori ha prospettive di crescita enormi. Quindi, ok, non #vinceCivati (anche i civatiani più saggi lo sanno), ma il secondo posto è tutt’altro che una chimera.

E Civati secondo serve come il pane a Renzi. E’ vero, i due utilizzano retoriche di posizionamento diversissime, ma attenzione: non bisognerebbe perdere di vista il fatto che si tratta per l’appunto di retoriche. I richiami più tradizionali, più nel solco di una certa sinistra classicamente identitaria, danno – almeno a me – l’impressione di essere parte di una precisa strategia di Civati, tesa a occupare uno spazio lasciato sguarnito dal PD all’indomani del voto di febbraio. Una strategia che evidentemente ha pagato, in termini di visibilità e di agibilità politica, altrimenti non staremmo qui a parlare di Civati come del candidato “di sinistra”, che dialoga coi movimenti, che assomiglia a Berlinguer eccetera eccetera. Ora, io vedo molti rischi nell’uso di questa retorica; ma se uno poi si va  a leggere il programma del deputato monzese, o i testi di chi quel programma in massima parte ha contribuito a stenderlo (per citarne uno solo, Tito Boeri), le analogie con l’impostazione liberal di Renzi sono abbastanza evidenti. Non che non ci siano differenze, sia chiaro: ma la visione generale, sotto, è davvero molto simile. Soprattutto, i due parlano la stessa lingua riguardo al rinnovamento del e nel partito: e un Renzi saldamente in testa e un Civati buon secondo troverebbero inevitabili convergenze strategiche nel dare un nuovo assetto al PD. E si rinforzerebbero a vicenda nel tentativo di non farsi schiacciare, ricattare e condizionare dalla vecchia dirigenza.

Che non sia una fantasia così peregrina, secondo me, è testimoniato da quanto dicono parecchi cuperliani con cui mi capita di discutere sui social network: votare Civati è come votare Renzi. Ecco, dal loro punto di vista credo abbiano abbastanza ragione.

Insomma, per riciclare un vecchio slogan che purtroppo è venuto troppo presto per diventare un hashtag: secondo me, si può fare.

3) Gianni Cuperlo

Gianni, io non some dirtelo, ma spero davvero che arrivi terzo, con distacchi pesanti. Mi spiace per te; ma, devo confessarlo, non per molti di quelli che intravedo dietro di te.

Poi magari mi sbaglio, eh. Però, secondo me, può andare a finire così.

E non sarebbe affatto male.

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