S’i fosse Grande Elettore

Quirinale_Cortile_Interno

Io se fossi Pippo Civati avrei in mente Prodi, per il Quirinale. Ma non lo direi subito.

Non lo brucerei così, alla prima chiama, quando serve solo a far cagnara e avere il pretesto per riprendere con la storia dei #101 (che poi, ovvio che l’accusa di Fassina altro non è che un preparare il terreno) e tirare ancora la corda. Bersaglio piccolo.

Invece, Prodi me lo terrei per dopo, dalla quarta in poi, quando le cose si fanno interessanti. Perché a quel punto potrei spostare il mirino sul bersaglio grande – e cioè il patto del Nazareno e, in ultima analisi, Renzi stesso. Dalla quarta votazione in poi può succedere non proprio tutto ma quasi, nel PD, fra i Cinquestelle e anche in Forza Italia, e io naturalmente parlerei parecchio con tutti costoro: in quel momento, un sostegno numericamente forte a Prodi potrebbe davvero diventare un problema per Renzi. Forse per lui Prodi al Quirinale non sarebbe l’inizio della fine, come suggerisce Francesco Costa, ma un brutto colpo e un indebolimento non da poco – oltre al dover ricominciare praticamente tutto da capo – beh, quello sì. Ed è allora che io, se fossi Civati, proverei a dare il colpo di grazia.

Però non sono Civati, e il post con cui l’affezionatissimo lancia già il nome di Prodi mi pare il segno che quel mirino non intende o non può spostarsi dal bersaglio piccolo.

 

Se fossi Raffaele Fitto, il post di Civati lo leggerei con un certo sottile piacere.

E alla prima chiama dai miei farei votare Prodi. Tanto sarei sicuro di tre cose.

Primo, che non verrebbe eletto. Secondo, che la minoranza PD non saprebbe resistere alla tentazione – e anzi, inizierebbe a intravedere davvero la possibilità del trappolone. Terzo e ultimo, che tutti penserebbero ai Cinquestelle, mica a me. A quel punto, mi prenderei i popcorn, mi siederei in un angolo e mi godrei lo spettacolo dell’effetto valanga, con lo sguardo fisso su Berlusconi.

 

Se fossi Silvio Berlusconi, credo che potrei fare ben poco oltre ad aspettare, fare il duro con i miei e tenere d’occhio, ma molto, Raffaele Fitto.

 

Se fossi Matteo Renzi, probabilmente avrei pensato a questo giorno per mesi e mesi, analizzando nei dettagli tutte le possibilità per decine di volte. E quindi avrei ragionevolmente in tasca il Nome Definitivo, l’asso nella manica che altro che Bersani con Franco Marini. Non essendo Matteo Renzi, però, posso solo sperare che in tasca quel nome lui ce l’abbia davvero.

 

Se fossi Sutasinanta, come sono e fui, mi limiterei a immaginare lo scenario più probabile, che in questo caso a me pare significhi “più funzionale alle esigenze di Renzi”. E che mi sembra sia ancora, nonostante tutto, quello che qualche tempo fa Claudio Cerasa identificava col “metodo Gentiloni”, dal percorso che portò Paolo Gentiloni al ministero degli Esteri.

Un profilo medio-alto, dunque, non troppo noto magari, non indigesto a Berlusconi né al resto del PD e quindi sottratto al gioco di veti e contro-veti. Un nome a cui la gente fuori risponda non dico positivamente, ma almeno senza ripetere il rogo delle tessere; che abbia esperienza e anche qualche merito, non truppe proprie in Parlamento però e un peso politico non eccessivo, almeno non tale da oscurare quello di Renzi. Soprattutto, che quando il Rottamatore (presto) andrà e gli dirà “Oh, scioglimi le Camere, che andiamo a votare”, risponda “Obbedisco”. Se donna, poi, ancora meglio.

Che nome corrisponda a questo identikit, però, non lo so. Non fosse circolato così tanto nei mesi scorsi, avrei puntato il famoso dollaro bucato su quello di Pinotti, ma adesso chissà.

Poi certo, ci sono i desideri.

Da queste parti si è sempre stati #teamEmma, ma l’orribile notizia di qualche settimana fa ha spostato quella meravigliosa ipotesi dal regno dell’improbabile in quello dell’impossibile. E allora, per la prima e probabilmente unica volta in vita mia, condivido senza riserve quello che ha scritto Christian Raimo: Luigi Manconi sarebbe un buon Presidente della Repubblica.