Pippo, anche no

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E quindi Matteo Renzi ha preso la sua decisione, ed è andata come è andata – o meglio, come sta andando. Io speravo non lo facesse, come avevo scritto, ma tant’è.

Fra le mille cose che sono state scritte sulla faccenda, probabilmente l’analisi migliore è questa, mentre la fotografia più precisa di come si sentono parecchi di noi – noi, “renziani” – è quest’altra.

Di mio, aggiungerei solo una postilla, che in realtà sono tre.

Primo. Hai voglia a correre, hai voglia a dire “Almeno adesso è padrone del suo destino”: la maggioranza è quella lì, e correre con tutta quella zavorra è dura – anche solo decidere l’andatura, per dire.

Secondo. Alcuni autorevoli commentatori suggeriscono che allungare l’orizzonte temporale del Renzi I al 2018 è fantascienza; e io l’idea che mi son fatto, in questi giorni, è che Renzi abbia accettato di assumersi direttamente la responsabilità del governo solo dopo aver ottenuto in cambio, soprattutto dalla minoranza PD, la garanzia di un percorso privo di intoppi per la legge elettorale. Quindi Italicum portato a casa in fretta, e dopo è tutto grasso che cola; ma alla prima difficoltà seria (o al primo affidabile sondaggio davvero, decisamente favorevole) secondo me salta tutto e si va a votare.

Terzo. Proprio per questo motivo, metter su uno squadrone di governo sarebbe un rischio, perché si potrebbe finire col bruciare gente che tornerebbe molto utile dopo; ma visto che non è neanche detto che ci sia un “dopo”, il rottamatore deve spingere, ogni suo atto deve esser tale da indurre negli spettatori un “Ah però” di malcelata ammirazione.

Da queste tre postille, infine, deriva il vicolo cieco in cui, secondo me, si trova Renzi adesso: e cioè, per riprendersi il capitale politico dilapidato con questa mossa, l’unica sarebbe davvero fare tutte quelle riforme “di sostanza” che aspettiamo da troppi anni. Ma con questo parlamento, con questa maggioranza – che non è la “sua” – Renzi non ce la può fare, nonostante tutte le buone intenzioni. E il mio timore è che ci ritroveremo, fra un po’ di tempo, di fronte a un “Vedete? Io vorrei, ma non mi fanno fare le cose” di cui sinceramente non abbiamo bisogno.

Ora, lasciando un attimo da parte le delusioni e le previsioni fosche, credo però valga la pena spendere due parole sul rilevante byproduct della mossa del Sindaco, il quasi quasi me ne vado – no forse invece resto di Pippo Civati.

Reazione anche comprensibile, quella del brianzolo. Ma adesso qualcuno dovrebbe prenderlo da parte e fargli capire che uscire dal PD, in questo momento, sarebbe davvero una grossa cazzata.

Io, avesse dieci minuti da dedicarmi, proverei a spiegargliela così.

Pippo, la capisco, la tua delusione. Perché anche se fidati, siamo su posizioni abbastanza distanti, è anche la mia. Però pensaci: fuori di qui, ti aspettano Sel, qualche grillino magari più politicizzato degli altri, sparuti orfani dipietristi, e un po’ di piddini delusi che ti seguirebbero. Tradotto, tutto l’occorrente per diventare se va bene il nuovo Vendola, se va male il nuovo Ingroia. Comunque, l’irrilevanza. Ne vale la pena?

Non sarebbe meglio, invece, restare qui, e provare a svolgere sul serio la funzione di guida della minoranza, provare ad essere un punto di riferimento per quelli che “io il PD potrei anche votarlo, però”, per i quali tu comunque sei molto più appealing di qualunque Fassina, qualunque Cuperlo? Non sarebbe meglio provare a replicare quello che molti dicono sia l’asset di Renzi (pescare da bacini elettorali altrui), ma rivolto a un bacino specifico, con cui se non proprio i programmi (basta leggere il tuo, e i loro, per capire che le analogie sono pochine) condividi invece il lessico, il vocabolario, un linguaggio evocativo che richiama album di famiglia comuni?

Pensa da un lato a Renzi stesso, un anno fa quanti gli consigliavano di uscire dal partito e farsi una cosa sua, e invece lui è rimasto, e si è preso il partito. Dall’altro, invece, pensa a Ichino: per ragioni anche molto comprensibili, se n’è andato, e l’avventura dei montiani è finita come sappiamo. Ora alcuni ne parlano come di un potenziale pretendente al Ministero del Lavoro, e io ne sarei contentissimo, davvero: ma seriamente, quante speranze ha?

Ecco, tutto qui. Tante parole per dire, alla fine: Pippo, anche no.

10 Pensieri su &Idquo;Pippo, anche no

  1. Sai che c’è? Che Civati non ragiona così. Non agisce in base a quello che gli “conviene” fare, ma in base alla sua onestà intellettuale. E per lui restare in un partito del quale non condivide in profondità la scelta, in Parlamento a votare leggi cui vorrebbe votare contro, probabilmente è troppo

    • Sil Bi, innanzitutto grazie per il tuo commento.
      Però, due cose: perché “convenienza” sarebbe una cosa brutta? Fare politica è anche questo: il miglior compromesso possibile fra l’ideale a cui aspiri e lo spazio di manovra che la situazione concreta ti offre. Mica vuol dire tradire i propri ideali. Vuol dire invece, per citare un vecchio video di Obama, esser consapevoli che fare politica è sapere che non otterrai il 100% di quello che vuoi. Se Civati mollasse, e uscisse, e si facesse un partito suo, probabilmente avrebbe in mano un movimento anche bellissimo, a sua immagine e somiglianza (sia inteso senza ironie, eh), ma elettoralmente irrilevante. Valido magari solo come testimonianza, per qualche tempo, ma presto destinato all’oblio. È una scelta sensata? Politicamente, intendo.
      Poi, seconda cosa: siamo sicuri che si troverebbe in parlamento a dover votare contro leggi che non condivide? Perché ripeto, se uno va a leggersi il suo programma delle primarie, ci sono parecchie affinità con quelle che, prevedibilmente, saranno le proposte del governo Renzi. Pensa al Jobs Act: robe come quelle si trovano in Boeri, e il fatto che in segreteria, in un ruolo chiave, ci sia Filippo Taddei, qualcosa significa. La legge elettorale? Anche Roberto Giachetti, che sarà renziano, ma su questo tema è autorevole come pochi, preferirebbe un sistema diverso dall’Italicum: ma come dice lui stesso, serve anche che qualcuno, quel sistema, te lo voti. E se non li trovi, cerchi di fare la migliore approssimazione possibile, perché – come si dice – il meglio è nemico del bene, in politica soprattutto. Ecco, i dubbi, le perplessità e le critiche di Civati sulla forma le capisco benissimo, e in parte le condivido, ma uscire adesso, in nome di quei dubbi e quelle perplessità, significherebbe perdere di vista l’obiettivo, la sostanza politica, e condannarsi a ripetere storie già viste.

    • Concordo in toto con Sil Bi.
      Capisco che per chi è cresciuto con il modello renziano sotto agli occhi sia difficile comprendere uno come Civati che, più che della sua persona, si preoccupa del bene del Paese e della sinistra italiana, ma tant’è.
      Civati sceglierà secondo la sua integrità morale e secondo quella tanto preziosa quanto dimenticata onestà intellettuale di cui parla Sil Bi e credo anche che, qualora scegliesse di andarsene dal Pd, non diventerà un altro Vendola o un altro Ingroia, ma solo Civati, nemmeno lontanamente paragonabile per capacità di visione politica e per spessore umano, a nessuno nel panorama politico attuale.

      • Grazie per il commento, ma se pensi che io sia “cresciuto con il modello renziano sotto agli occhi”, mi attribuisci troppo generosamente molte primavere in meno rispetto a quelle che ho.

    • E allora fuori… già con Letta non ha votato la fiducia… la democrazia è anche questa piaccia o no. Se non va bene esce e va con Diliberto, Ferrero, Vendola, Bertinotti..

  2. I commenti a favore della scelta di Civati parlano di onestà intellettuale e integrità politica, e davvero, me ne compiaccio, perché politici simili sono ormai rari al giorno d’oggi. Ma in discussione non c’è la sua rettitudine, la sua ortodossia al proprio modo di vedere le cose, il suo attaccamento ai propri ideali che non gli permettono di votare a favore di questo eventuale governo.

    In discussione c’è la convenienza politica di questa mossa. In discussione c’è lo scontro fra una visione puramente ideale e pura di politica, e la visione del “compromesso del possibile”, del dialogo e della sintesi di media ione fra posizioni diverse.

    Fare politica, per quanto possa apparire brutto e “sporco”, è anche questo: trovare la sintesi fra posizioni spesso differenti e distanti, per cercare di realizzare qualcosa. Dialogo e sintesi che si fanno provando a venirsi incontro, non chiedendo all’altro di avvicinarsi tout court alle proprie posizioni (critica rivolta non solo a Civati, sia chiaro, ma a tutti).

    Tutti vorrebbero un mondo ideale, anch’io, ma non si può pretenderlo tutto e subito, purtroppo.

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